Don Stefano Varnavà


Nato a Verolanuova (BS) nel 1933, entra in seminario a tredici anni.
Ordinato sacerdote nel 1955, opera nella parrocchia di Vergiate (VA).
Nel 1957 nasce il suo primo complesso musicale "Modern Spirituals" per presentare in lingua italiana i Negro Spirituals americani.

Nel 1960 viene trasferito nella parrocchia del Gentilino, a Milano, passando poi alla parrocchia di S. Francesco d'Assisi al Fopponino nel 1977.
Nel 1980 fonda un terzo gruppo di MODERN SPIRITUALS denominato poi "Gli Interpreti"

Nel 1997 costituisce il gruppo "I Mai Pront" per la musica folkloristica milanese.
Nel 1999 dà vita alle "St. Francis' Voices, per le incisioni di CD e musicassette, e al nuovo gruppo per i Recitals "Le Voci".
Attualmente opera nella parrocchia S. Francesco d'Assisi al Fopponino, a Milano.


 

Riflessioni sulla pace a cura di Don Stefano Varnavà

 

LA PACE

 

E' stata definita: la tranquillità nell'ordine. Ma quale ordine?

A - L'ORDINE INTERIORE

  • rapporto tra il sé e la propria coscienza;
  • la pace è anzitutto un fatto interiore, dello spirito, e ne è fondamentale condizione la dipendenza amorosa e filiale dalla volontà di Dio: "O Signore, ci hai fatti per Te e il nostro cuore non è quieto se non riposa in Te" - Sant'Agostino (Giovanni XXIII);
  • la pace cristiana ha le sue radici nelle virtù teologali di fede, di speranza e di carità; ed essa si afferma e si estende attraverso l'esercizio generoso e volontario della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza (Giovanni XXIII);
  • o lotteremo contro le nostre cattive inclinazioni, per avere la pace con Dio, o combatteremo contro Dio per avere la pace con le nostre inclinazioni;
  • conflittualità esistente nell'individuo :
    a) EGOCENTRISMO: Io al centro e misura del mondo circostante,
    b) EGOISMO: tutto a me e niente agli altri. Solo prendere, mai dare. Il diritto è quello che esigiamo per noi; il dovere è quello che esigiamo dagli altri,
    c) SFRUTTAMENTO: approfittare dei piccoli interessi che gli altri possono avere, per fare il mio interesse,
    d) ORGOGLIO: non voler aver bisogno degli altri. E se anche se ne ha bisogno, non volerlo riconoscere avventandosi e ribellandosi contro chi ci mantiene, contro chi ci ha istruito, o ci ha aperto la strada.

B - L'ORDINE FAMILIARE

Nel rapporto  UOMO/DONNA - DONNA/UOMO
                       GENITORI/FIGLI - FIGLI/GENITORI
                       FAMIGLIA E ALTRE FAMIGLIE

non c'è pace senza:

          la CARITÀ (rifiutando il perdono e la riconciliazione),
          la GIUSTIZIA (volendo solo diritti e rifiutando i doveri),
          la LIBERTÀ (intesa come libertà di essere veramente se stessi e non come arbitrio, rispettando la libertà          
         altrui),
          la VERITÀ che non è: a) menzogna, b) propaganda per forzare e per plagiare, c) svuotamento dei contenuti scomodi, d) assenza di confronto.

deporre le armi della:


         CRITICA E MORMORAZIONE che impedisce all'altro di egire con sicurezza e fiducia in se stesso, e perciò di dare all'altro e agli altri tutto ciò di cui è capace
        AGGRESSIVITÀ E IRONIA. Con queste feriamo la sensibilità altrui e impediamo ai più timidi di intervenire, di chiedere un favore, di sentirsi bene in un         ambiente
        la COMPETITIVITÀ che nega l'aiuto all'altro per timore che trionfi, che nasconda i valori e le conoscenze per non metterle al servizio dell'altro/degli altri
        la COMPETITIVITÀ soprattutto nel rapporto maschio/femmina.
        la SFIDUCIA. Per essa alcuni, feriti dall'aggressività degli altri, non partecipano per timore di non sentirsi accettati. Così diventano un peso morto, o più ancora         sono di disturbo
        il DISPREZZO, nato dall'invidia, dal rancore e altro, produce un atteggiamento di silenzio e tensione.
       (N.B. - Vedi corollario N° 1 e N° 2 : "Il volto "femminile" della pace" e "Da Francesco d'Assisi alle donne e agli uomini  con simpatia".

C - L'ORDINE SOCIALE

Tra le famiglie è fondato sulla giustizia. Il contrario della PACE non è la GUERRA, ma l'INGIUSTIZIA.
Non si ha pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi (Giovanni XXIII).
Se non c'è pace, unità e concordia nelle famiglie, come potrà aversi nella società civile? (Giovanni XXIII).


PUNTI FERMI

  • Bisognerebbe smettere di pensare e parlare tra uomini in termini di vittoria e di sconfitta. non ci sono mai veri e propri vincitori in senso assoluto. Guardarsi senza sfidarsi, incontrarsi senza temersi, intrattenersi senza compromettersi (Giovanni XXIII).
  • Bisognerà usare con molta cautela l'immagine di un Dio guerriero e potente: il Dio degli eserciti.
  • Bisognerà mettere sempre in evidenza la differenza tra forza e violenza.

PER EVITARE EQUIVOCI
Avere chiaro il significato di pace per questi popoli:

       1. SHALOM - PACE: Concetto ebraico di ordine: ordine religioso e politico insieme: il Regno di Jhawè è per il popolo eletto (coloro che sono di razza e religione        ebrea) che è destinato a governare su tutte le nazioni.

       2. EIRÈNE - PACE: Nella sua concezione greca: pochi uomini superiori al governo della società che è composta di liberi, schiavi e liberti (schiavi che hanno        riacquistato la libertà). Qui è più un disordine stabilito.
      Quando lo schiavo è sottomesso al suo padrone, non esiste conflitto; è proprio allora che l'ordine è stabilito e che niente sembra venire a metterlo in causa. Il       conflitto comincia a esistere dal momento in cui lo schiavo prende coscienza dei propri diritti (J.M.Muller).

      3. La PAX ROMANA: Principio regolatore: "Si vis pacem para bellum" I popoli sono pacificati a patto che restino  sottomessi all'autorità imperiale,       sottomissione che contempla anche la schiavitù.

      4. La PAX CRISTIANA: Gesù ha superato la bipolarità amico-nemico e il concetto ebraico di prossimo riservato solo a chi ha la tua stessa razza e religione.       Elimina ogni barriera tra uomo e uomo. Tutti figli dello stesso padre. I meno abbienti      devono essere aiutati dai più abbienti, ma nessuna divisione netta e       inderogabile di categorie sociali. Dio è      padre dei ricchi       e dei poveri. Eliminato il concetto di guerra santa (i nemici di Israele sono anche nemici di Dio). In       concreto: la ripartizione       del mondo in "amici" e "nemici" non appartiene alla visione cristiana dell'uomo. E il  rapporto occhio per occhio, dente per       dente, viene superato la discorso sulla montagna.

      5. La PAX AGOSTINIANA:
      Pax est absentia belli,
      Distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta. Vedi Corollario N° 3: "La guerra giusta".

      6. La PACE come AHIMSA:
      presso il buddismo e l'induismo. Non essere attaccati a niente, per cui… "se te lo portano via" sei in pace ugualmente
      Distacco da ogni desiderio per evitare così il dolore.

     7. La PACE come NON VIOLENZA:
     la SATYAFRAHA di Gandhi. (Vedi Corollario N° 4: "Lo spirito della non-violenza")

     8. La PACE come TRANQUILLITÀ nell'ORDINE ISLAMICO:
     L'ordine islamico è una teocrazia: nessuna distinzione tra politica e musulmanesimo, Tutti i cittadini devono essere musulmani (muslim : vero adoratori di Dio).

Le forme tradizionali precedenti l'Islam sono caratterizzate da formulazioni imperfette della dottrina, da applicazione nell'ambito di una cerchia dell'umanità e da limitazioni temporali: la rivelazione mosaica era diretta ai Figli d'Israele, non ai Gentili, così pure la rivelazione di Gesù Cristo. Questi venne come inviato ai Figli d'Israele onde confermare la Legge di Mosè ed al contempo sottoporla ad alcune parziali forme di abrogazione concernenti aspetti secondari. La missione del Nobile Profeta Muhammad si estende invece all'umanità intera ed abroga tutte le Legislazioni apportate dai profeti del passato. La Sharî°ah islamica si configura pertanto come obbligatoria per tutti gli esseri umani.


COROLLARIO N° 1

IL VOLTO "FEMMINILE" DELLA PACE di Antonio Nanni

Si è fatto osservare che la "seconda fase" del femminismo stia interessando più direttamente la Chiesa. Si ha come l'impressione che le spinte propulsive del movimento delle donne si vadano esaurendo sul piano sociale mentre aumentano di proporzione e di significato sul piano ecclesiale. Si tratta senza dubbio di un processo non chiassoso e poco appariscente ma nondimeno corposo e capillare. Ad essere chiamata in causa sembra essere anzitutto la configurazione strutturale e istituzionale della Chiesa. Perché avvenga una riconciliazione profonda tra la donna e la Chiesa deve cambiare la donna ma forse ancor più deve cambiare la Chiesa. Se inquadriamo questa realtà da una prospettiva ecumenica essa appare ancora più in movimento. Si approfondisce il distacco tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane. È recente la notizia che anche in seno all'ebraismo la donna si appresta a vivere una svolta storica: infatti l'Assemblea mondiale ebraica ha riconosciuto alla donna il diritto di diventare "rabbino". Dopo un ballottaggio postale che ha interessato mille e cento rabbini sparsi in tutto il mondo è emerso il risultato forse inatteso e certamente rivoluzionario: 636 rabbini hanno votato a favore e 267 contro. Dunque, la donna ebrea potrà essere "rabbino".

E che cosa accade oggi in casa cattolica? Sono passati più di venti anni da quando il cardinale belga Suenens, nel 1963, all'inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II, chiedeva ai vescovi di tutto il mondo: "dov'è qui l'altra metà dell'umanità?". In quell'interrogativo che ci sembra conservare ancora oggi la sua attualità noi vediamo la presa di coscienza della reale condizione di subalternità della donna nella Chiesa.

Che la teologia tradizionale e molto spesso anche quella moderna sia quasi del tutto sorretta da modelli culturali maschilisti e androcentrici non ci vuole poi molto a dimostrarlo. Il linguaggio che viene per lo più utilizzato ne è lo specchio più fedele ed inequivocabile. Il "volto materno" di Dio stenta ad emergere. Come se Dio fosse veramente soltanto il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e non altrettanto il Dio di Sara, di Rebecca e di Rachele. Tutto questo fa riflettere. Oggi le donne cattoliche, almeno in Italia, non parlano tanto della necessità di una teologia femminista quanto piuttosto di una teologia "al femminile". Non ci sembra, insomma, che si voglia trasferire la protesta e la rivendicazione dell'ambito sociale a quello ecclesiale ma che si intenda finalmente considerare la donna "soggetto" (non solo oggetto) della riflessione teologica.
Per infrangere un'errata iconografia cristiana della donna si potrebbe ripartire dalla riproposizione di un grappolo di interrogativi che il cardinale Carlo Maria Martini presentò come introduzione al convegno di Gazzada del 1981: "perché identificare l'immagine di Dio con quella trasmessaci da una cultura maschilista? Quali indicazioni per un linguaggio globale anche liturgico, che non faccia sentire esclusa, nella sua elaborazione, la donna? Perché così poche e inadeguate risposte alla valorizzazione del proprio corpo, dell'amore fisico dei problemi della maternità responsabile? Perché la pur grande presenza delle donne nella Chiesa non ha inciso nelle sue strutture? E nella prassi pastorale perché attribuire alla donna solo quei compiti che lo schema ideologico e culturale della società attribuiva, e perché non esplicitare i suoi carismi "opera dello Spirito Santo" ? I ruoli ecclesiali affidati alle donne corrispondono ai carismi di una Chiesa condotta dallo Spirito oppure sono ancora frutto di una mentalità maschilista?".
Ecco, noi crediamo che in queste domande essenziali sia raccolto l'aspetto più profondo e talora drammatico del rapporto tra la donna e la Chiesa.

La condizione della donna nella Chiesa
Molti conosceranno il nome di Adriana Zarri; l'enfant terrible delle donne cristiane in Italia, teologa, saggista e contemplativi. Secondo la Zarri non esiste uno speciale rapporto fra donne e pace, fondato, come spesso si dice, sul fatto che la donna è "datrice di vita". Anche l'uomo è datore di vita e far riferimento a quel titolo della donna sembra ancora una volta un modo elegante per chiuderla nel ruolo della funzione materna. Il legame tra la pace e la donna non va dunque individuato sul piano biologico, ma altrove.
"Donne di tutto il mondo, cristiane e non credenti, a cui è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi salvare la pace nel mondo": così si conclude il messaggio del Concilio Vaticano II alle donne. In questa visione la donna appare ancora portatrice di pace perché, per determinazione biologica, è portatrice di vita. Ma la donna è soggetto della cultura della pace non tanto perché madre quanto perché la sua particolare condizione l'ha portata a fare esperienza quotidiana di alcuni grandi valori umani che sono allo stesso tempo un presupposto e una conseguenza dello spirito di pace: la solidarietà, l'accoglienza, la gratuità, il senso della festa, la pazienza, la tolleranza, ecc. Oggi la donna cristiana dà l'impressione di aver acquistato uno spirito di grintosa franchezza nei confronti delle autorità ecclesiastiche e, simbolicamente, verso lo stesso Pontefice. Negli ultimi anni, infatti, sono state soprattutto le donne a far presente coraggiosamente al Papa, nel corso dei suoi viaggi, certe realtà. In un veloce censimento fatto dal noto vaticanista di "Repubblica" Domenico Del Rio, troviamo elencate alcune tra le più clamorose contestazioni femminili: da quella di Suor Teresa Kane nell'ottobre del 1979 a Washington, che poneva al Papa in termini espliciti il problema della donna nella Chiesa, a quella della presidentessa dell'Azione Cattolica, Barbara Engel, nel novembre 1980 a Monaco, in Germania, che denunciava le incomprensioni della Chiesa verso le nuove generazioni. Ma le contestazioni più energiche si sono avute nel corso del viaggio in Belgio e in Olanda. A Utrecht, il 12 maggio 1985, la signora Edvige Wasser fa osservare al Papa che il Vangelo non si annuncia ''con il dito minaccioso". A Liegi, il 19 maggio 1985, la signora Anne Marie Gilson, Presidentessa dell'Azione Cattolica rurale femminile, rimprovera al Papa il fasto e la spettacolarità che accompagna i suoi viaggi. I giorni successivi all'Università di Lovanio la studentessa Els Gryson invoca una morale liberatrice che non si fondi soltanto su "comandi e proibizioni". E un'altra studentessa, Weronica Oruba, di origine polacca, fa presente al Papa di essere sorpresa di certe sue posizioni nei riguardi dell'America Latina e della Teologia della liberazione.
La protesta delle donne contro la struttura patriarcale che caratterizza ancora oggi la Chiesa, secondo cui il "maschio" è il simbolo della "norma" , e tutto ciò che non lo è viene considerato inferiore, si fa sentire soprattutto negli Stati Uniti d'America, dove dal 1977 si è costituita la "Conferenza per l'ordinazione delle donne" (Women's Ordination Conference), per sostenere la causa del sacerdozio femminile. Ma ciò che più sembra preoccupare il Vaticano e l'Episcopato americano, che ha incaricato una commissione di vescovi Usa di preparare una lettera pastorale sul tema della donna nella Chiesa e nella società americana, sono proprio le rappresentanti ufficiali delle 120 mila suore statunitensi. Sono proprio le suore, infatti, le più agguerrite sostenitrici della necessità di cambiare le attuali strutture androcentriche della Chiesa.

La Chiesa è chiamata a stringere con la donna un nuovo patto di pace. Non sono poche le responsabilità della Chiesa nei confronti della condizione sociale della donna. Si afferma in un documento del 1975 a cura del Pontificio Concilio per i laici ("La Chiesa e l'anno internazionale della donna"): "la donna è stata talmente abituata a pensare che non tocca a lei pensare come impedire la guerra e creare la pace, che ora ci si trova di fronte ad un primo immane compito: educare la donna che tocca anche a lei pensare che la guerra può e deve essere eliminata, che la pace non è, solo assenza di conflitto armato, ma è anzitutto e soprattutto equa distribuzione dei beni economici, rispetto delle minoranze, riconoscimento e tutela dei diritti di ogni uomo, volontà di composizione pacifica degli inevitabili conflitti scaturienti dalle limitazioni umane".

Forse queste considerazioni dovevano però esser fatte non soltanto nel segno della denuncia ma anche nel segno dell'autocritica La liberazione della donna nella società e nella Chiesa è un presupposto indispensabile per la costruzione della pace e di nuovi modelli culturali in cui l'uomo e la donna possono realizzare la loro specifica identità personale, sessuale e psicosomatica nella convivialità delle differenze.


COROLLARIO N° 2

Da Francesco d'Assisi, alle donne e agli uomini con simpatia...

"È strano /.../ com'è possibile che nonostante figure così stupende come Chiara, come Caterina, come Teresa, nelle Chiese siete rimasti così antifemministi?"
"Avete paura della donna perché donna è tipo pericoloso per la vostra virtù o la considerate, pur non dicendolo apertamente, appartenente ad una razza inferiore ed indegna di toccare le cose sante? Ma ci fate conto? Di tanto in tanto le negate perfino di salire l'altare per leggere con garbo un testo della Scrittura all'assemblea. Un qualunque uomo, purché sia uomo, le passa davanti.
Non vi pare esagerato?
O siete ancora schiavi delle culture antiche in cui la donna non contava proprio nulla, sottomessa alla prepotenza maschile e destinata solo a vivere dietro la tenda come le musulmane?
Sì, ora mi viene in mente: guardate Khomeini e cosa fa. Capirete il pericolo dell'antifemminismo religioso e vedrete che il Vangelo è altra cosa!
/.../ Si direbbe che siete privi di profezia e non avete verità da pronunciare.
/.../ Il passato è passato e non torna.
Anche se sono stati necessari duemila anni perché il Vangelo incominciasse ad entrare nelle dure cervici di uomini fattisi cristiani ma rimasti alla circoncisione, qualcosa si fa strada.
II Concilio è stata una data unica nella trasformazione del mondo moderno ed ha spazzato via tutto il di più che appesantiva la Chiesa.
/.../ I razzismi inconfessati delle caste sono stati polverizzati dal senso dell'eguaglianza annunciata e realizzata nella costruzione del Regno.
Ed anche per la donna c'è del nuovo, leggete bene. Aprite gli occhi ai segni dei tempi e vi accorgerete del pericolo di farvi superare dalla realtà che da tempo bussa alle porte.
/.../ Come dovete tutto ripensare!
Trasformate la vostra casa in un ideale convento, come faceva Santa Caterina, per farvi regnare la preghiera, il consiglio, la pace. II vostro lavoro sia illuminato dalla potenza della vostra vocazione fatta per amare, confortare, servire.
Non copiate gli uomini, ma siate creative, autentiche, cercando nella vostra femminilità la radice che vi distingue e che è inconfondibile perché voluta e creata da Dio stesso.
/.../ Non perdete tempo a cercare di avvicinarvi all'uomo per somigliargli in qualche modo, ma cercate di allontanarvi il più possibile da quel modello che non è il vostro ed è già in sé abbastanza deturpato e svanito.
lo penso che se esiste un modello al mondo per voi donne questa è Maria di Nazaret.
E impossibile che Gesù non abbia pensato a queste cose e non abbia cercato di plasmare, nei trent'anni della sua esistenza terrena, il modello della donna.
Maria gli era così vicina!
Ed era così attenta a Lui!
/.../ Si è ancora pensato troppo poco a questa eccezionale donna.
Non si è andato a fondo alla sua realtà di essere `donna di questa terra', sorella nostra, alla sua libertà, alla sua autonomia, al suo realizzarsi giorno dopo giorno nel quotidiano.
Dovreste essere voi donne a scavare nella preghiera un po' del mistero di Maria.
Finora si è fatto troppo sentimentalismo od inutile trionfalismo! Specie da parte degli uomini, soprattutto... se non sposati.
Un'ultima cosa.
Smettetela di farvi guidare solo da uomini, perché uomini, fatelo semmai perché santi e non disdegnate di farvi aiutare da tipi come Chiara, che anche se donna può dirvi cose utili e forti. "

Da Carlo Carretto, lo, Francesco, Ed. Cittadella-Messaggero / Assisi-Padova, 1982, pp. 84 89.


COROLLARIO N° 3

LA GUERRA GIUSTA

Sono tornati concetti antichi nelle parole del Papa ieri, riguardo alla tragedia della Bosnia. E' il vecchio concetto di guerra giusta, di guerra di difesa, che entra oggi con qualche perplessità nel pensiero della morale cattolica. Una volta; l'idea di guerra. "giusta" di guerra "di difesa" era normalmente contemplata dai testi di morale, accompagnata da tre condizioni: che ci fosse una difesa di interessi legittimi, che non si trovassero altri mezzi per far valere la propria giusta ragione, che la decisione venisse presa dalla legittima autorità. In fondo, sono motivazioni che, in teoria, reggono anche oggi. Ma esse si mescolano decisamente con posizioni di rifiuto della guerra..
Nei mesi del conflitto del Golfo Persico, Wojtyla si era eretto profeta di pace, uomo del non intervento, mostrava orrore di fronte allo stesso concetto di guerra, disgustato soprattutto di un mondo occidentale che, dimentico della pietà verso gli uomini, voleva soltanto celebrare la propria onnipotenza guerresca e sublimava il conflitto in epopee televisive e di mass media. Da Giovanni Paolo II era nata, allora, una novità di linguaggio, un'invenzione di espressioni per esecrare la guerra e per cercare di fermarla: "La guerra è un'avventura senza ritorno"; "la guerra sarebbe il declino dell'umanità intera"; mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza". Ma la guerra in Bosnia, con le sue atrocità, con il martirio continuato di città e di popolazioni, ha fatto rientrare ancora nelle incertezze morali, teologiche e giuridiche tutti gli schemi e tutte le definizioni. In una visione quotidiana di orrori in una terra martoriata, Giovanni Paolo II ripiegava sul concetto di "ingerenza umanitaria". Si affannava a far spiegare dal suo Segretario di Stato, dai suoi cardinali, dai suoi nunzi apostolici, che tale ingerenza diventava obbligatoria in situazioni che compromettevano gravemente la sopravvivenza dei popoli o di interi gruppi etnici e, in questi casi, si poteva accettare anche l'idea di un "braccio armato dell'azione umanitaria".
E il Papa, di fronte anche all'inazione degli altri Paesi del mondo, soprattutto europei ("la guerra in Bosnia, egli ha detto, è l'umiliazione dell'Europa"), si è posto come creatore di nuovi aspetti del diritto internazionale, qualcosa che era affiorato già nell'enciclica Centesimus annus. Lo ha fatto in un discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nel gennaio 1992.
L'uomo vale più dello Stato, è il pensiero di Wojtyla... Se in uno Stato l'uomo è minacciato e aggredito, decade ogni principio di sovranità e di non ingerenza: gli altri Stati hanno il dovere di disarmare l'aggressore. Non esiste, per gli Stati, un diritto all'indifferenza.
Giovanni Paolo II si è rivolto ai giuristi perché riflettano sulle nuove realtà, ed egli stesso ha offerto loro la formulazione di nuovi principi internazionali. E' il Papa che, rivestito di autorità morale, fonda il diritto.
Alla fine egli stesso riassumeva efficacemente così il proprio pensiero sulla guerra: "Fedele alla mia missione, voglio ripetere nella maniera più solenne e ferma:
- la guerra di aggressione è indegna dell'uomo;
- la distruzione morale e fisica dello straniero è un crimine;
- l'indifferenza pratica di fronte a tali comportamenti è un'omissione colpevole;
chi si abbandona a queste infamie, chi le scusa o le giustifica ne risponderà non solamente davanti alla comunità internazionale, ma più ancora da vanti a Dio"..

E allora, forse è questa la considerazione conclusiva che si può attribuire a Giovanni Paolo II: se c'è necessità di fermare atrocità e ingiustizie, si ricorra a mezzi di guerra, ma con la ritrovata consapevolezza che è sempre cosa da piangere, non da esaltare.


COROLLARIO N° 4

Lo spirito della non violenza

L'azione non violenta è l'attuazione di un pensiero e di un metodo. Come pensiero la non violenza parte dalla convinzione che gli uomini non si affrontano irrimediabilmente come nemici, ma che anche in una situazione di conflitto possono raccogliere la sfida che consiste nel superarla mediante il dialogo e l'amore. Quando tale conflitto deriva da una evidente situazione di ingiustizia, caratterizzata dal predominio del potere degli uni sugli altri, compete ai deboli di intraprendere un'azione che consiste in una pressione morale estremamente attiva ed efficace, ma non violenta, adatta a dimostrare all'oppressore la sua ingiustizia e a indurlo a correggerla.
In tal modo si liberano entrambi: il potente si libera dell'oppressione che esercita; il debole dell'oppressione che subisce.
Anche se il pensiero non violento non è esclusivo dei cristiani, tuttavia noi troviamo nella nostra fede, nelle parole e nelle azioni di Nostro Signore Gesù, delle motivazioni profonde e degli esempi ben chiari che ci spingono a vivere l'azione non violenta. In questo caso, tale azione realizza un modo di vivere il Vangelo affrontando le ingiustizie di questo mondo. È per questo che la non violenza deve cominciare con la trasformazione radicale del modo personale di vivere. Bisogna far violenza a se stessi; superare gli istinti egoistici che ci dividono e ci separano dai nostri fratelli; vincere la tentazione di essere accomodanti e passivi oppure la paura che si insinua nel nostro cuore. Dobbiamo estirpare tutti i germi dell'odio, del rancore e della vendetta che sono dentro di noi e che si rivelano nelle relazioni interpersonali immediate…
L'esempio più lampante dello spirito della non violenza si trova nel dialogo. Sappiamo che è molto difficile dialogare, mentre è facile affiancare due monologhi...
Seguire il cammino della non violenza, vuol dire separare nell'oppressore la sua personalità dal male che egli commette: si tratta di amare la persona e detestare il male. Ed è per questo che l'azione non violenta non potrà mai ricorrere al potere, alla forza; non offenderà mai l'oppressore con una ingiuria. Al contrario, il non violento, a somiglianza di Gesù Cristo, si sforza di vivere la spiritualità del servitore sofferente (Isaia, 53); egli evita qualunque idea di dominio delle persone; elimina tutti i segni di discriminazione o di superiorità; ricerca la serenità con un allenamento assiduo a scopo di vincere la paura; vive nella verità, dice la verità, difende la verità, ma sempre con amore…

"La nonviolenza non va confusa con la non resistenza. Nonviolenza significa dire "no" alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un'accettazione passiva. La pigrizia, l'indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza". (B. Haring)

"La pace non sarà mai sicura e tranquilla fino a quando i poveri, per fare un passo avanti in difesa del loro pane e della loro dignità, saranno lasciati nella diabolica tentazione di dover rigare di sangue la loro strada". (B. Haring)

CONCLUSIONE


SOLO ALLORA LA PACE

Se credi che un perdono
va più lontano di una vendetta.
Se sai cantare la felicità degli altri
e danzare la loro allegria.
Se puoi ancora ascoltare il disgraziato
che ti fa perdere tempo e donargli un sorriso.
Se sai accettare la critica e farne tesoro
senza respingerla e difenderti.
Se sai accogliere e adottare
un parere diverso dal tuo.
Se ti rifiuti di sbattere la tua colpa
sul petto degli altri.
Se per te un altro
è, innanzitutto, un fratello.
Se la collera per te è una debolezza,
non una prova di forza.
Se preferisci essere danneggiato
che far torto a qualcuno.
Se credi che l'amore
è la sola forza di discussione.
Se credi che la pace è possibile
… Allora la pace verrà.
P. Guilbert





Il Libro di Anna Maria Parole d'amore
Dal cuore del padre
Dal cuore del figlio
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