PER EVITARE EQUIVOCI
Avere chiaro il significato di pace per questi popoli:
1. SHALOM
- PACE: Concetto ebraico di ordine: ordine religioso e politico insieme:
il Regno di Jhawè è per il popolo eletto (coloro che sono
di razza e religione ebrea)
che è destinato a governare su tutte le nazioni.
2. EIRÈNE
- PACE: Nella sua concezione greca: pochi uomini superiori al governo
della società che è composta di liberi, schiavi e
liberti (schiavi che hanno riacquistato
la libertà). Qui è più un disordine stabilito.
Quando lo schiavo è sottomesso
al suo padrone, non esiste conflitto; è proprio allora che l'ordine
è stabilito e che niente sembra venire a metterlo in causa. Il
conflitto comincia a esistere dal
momento in cui lo schiavo prende coscienza dei propri diritti (J.M.Muller).
3. La PAX ROMANA:
Principio regolatore: "Si vis pacem para bellum" I popoli
sono pacificati a patto che restino sottomessi all'autorità
imperiale, sottomissione che contempla
anche la schiavitù.
4. La PAX CRISTIANA:
Gesù ha superato la bipolarità amico-nemico e il concetto
ebraico di prossimo riservato solo a chi ha la tua stessa razza
e religione. Elimina ogni barriera
tra uomo e uomo. Tutti figli dello stesso padre. I meno abbienti
devono essere aiutati dai più abbienti,
ma nessuna divisione netta e inderogabile
di categorie sociali. Dio è padre
dei ricchi e dei poveri. Eliminato
il concetto di guerra santa (i nemici di Israele sono anche nemici di
Dio). In concreto: la ripartizione
del mondo in "amici" e
"nemici" non appartiene alla visione cristiana dell'uomo.
E il rapporto occhio per occhio, dente per dente,
viene superato la discorso sulla montagna.
5. La PAX AGOSTINIANA:
Pax est absentia belli,
Distinzione tra guerra giusta e
guerra ingiusta. Vedi Corollario N° 3: "La guerra giusta".
6. La PACE come
AHIMSA:
presso il buddismo e l'induismo.
Non essere attaccati a niente, per cui
"se te lo portano
via" sei in pace ugualmente
Distacco da ogni desiderio per evitare
così il dolore.
7. La PACE come NON
VIOLENZA:
la SATYAFRAHA di Gandhi. (Vedi Corollario
N° 4: "Lo spirito della non-violenza")
8. La PACE come TRANQUILLITÀ
nell'ORDINE ISLAMICO:
L'ordine islamico è una teocrazia:
nessuna distinzione tra politica e musulmanesimo, Tutti i cittadini
devono essere musulmani (muslim : vero adoratori di Dio).
Le forme tradizionali precedenti l'Islam sono caratterizzate
da formulazioni imperfette della dottrina, da applicazione nell'ambito
di una cerchia dell'umanità e da limitazioni temporali: la rivelazione
mosaica era diretta ai Figli d'Israele, non ai Gentili, così
pure la rivelazione di Gesù Cristo. Questi venne come inviato
ai Figli d'Israele onde confermare la Legge di Mosè ed al contempo
sottoporla ad alcune parziali forme di abrogazione concernenti aspetti
secondari. La missione del Nobile Profeta Muhammad si estende invece
all'umanità intera ed abroga tutte le Legislazioni apportate
dai profeti del passato. La Sharî°ah islamica si configura
pertanto come obbligatoria per tutti gli esseri umani.
COROLLARIO N° 1
IL VOLTO "FEMMINILE" DELLA PACE di Antonio
Nanni
Si è fatto osservare che la "seconda
fase" del femminismo stia interessando più direttamente
la Chiesa. Si ha come l'impressione che le spinte propulsive del movimento
delle donne si vadano esaurendo sul piano sociale mentre aumentano di
proporzione e di significato sul piano ecclesiale. Si tratta senza dubbio
di un processo non chiassoso e poco appariscente ma nondimeno corposo
e capillare. Ad essere chiamata in causa sembra essere anzitutto la
configurazione strutturale e istituzionale della Chiesa. Perché
avvenga una riconciliazione profonda tra la donna e la Chiesa deve cambiare
la donna ma forse ancor più deve cambiare la Chiesa. Se inquadriamo
questa realtà da una prospettiva ecumenica essa appare ancora
più in movimento. Si approfondisce il distacco tra la Chiesa
cattolica e le altre confessioni cristiane. È recente la notizia
che anche in seno all'ebraismo la donna si appresta a vivere una svolta
storica: infatti l'Assemblea mondiale ebraica ha riconosciuto alla donna
il diritto di diventare "rabbino". Dopo un ballottaggio postale
che ha interessato mille e cento rabbini sparsi in tutto il mondo è
emerso il risultato forse inatteso e certamente rivoluzionario: 636
rabbini hanno votato a favore e 267 contro. Dunque, la donna ebrea potrà
essere "rabbino".
E che cosa accade oggi in casa cattolica? Sono passati
più di venti anni da quando il cardinale belga Suenens, nel 1963,
all'inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II, chiedeva
ai vescovi di tutto il mondo: "dov'è qui l'altra metà
dell'umanità?". In quell'interrogativo che ci sembra conservare
ancora oggi la sua attualità noi vediamo la presa di coscienza
della reale condizione di subalternità della donna nella Chiesa.
Che la teologia tradizionale e molto spesso anche
quella moderna sia quasi del tutto sorretta da modelli culturali maschilisti
e androcentrici non ci vuole poi molto a dimostrarlo. Il linguaggio
che viene per lo più utilizzato ne è lo specchio più
fedele ed inequivocabile. Il "volto materno" di Dio stenta
ad emergere. Come se Dio fosse veramente soltanto il Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe e non altrettanto il Dio di Sara, di Rebecca
e di Rachele. Tutto questo fa riflettere. Oggi le donne cattoliche,
almeno in Italia, non parlano tanto della necessità di una teologia
femminista quanto piuttosto di una teologia "al femminile".
Non ci sembra, insomma, che si voglia trasferire la protesta e la rivendicazione
dell'ambito sociale a quello ecclesiale ma che si intenda finalmente
considerare la donna "soggetto" (non solo oggetto) della riflessione
teologica.
Per infrangere un'errata iconografia cristiana della donna si potrebbe
ripartire dalla riproposizione di un grappolo di interrogativi che il
cardinale Carlo Maria Martini presentò come introduzione al convegno
di Gazzada del 1981: "perché identificare l'immagine di
Dio con quella trasmessaci da una cultura maschilista? Quali indicazioni
per un linguaggio globale anche liturgico, che non faccia sentire esclusa,
nella sua elaborazione, la donna? Perché così poche e
inadeguate risposte alla valorizzazione del proprio corpo, dell'amore
fisico dei problemi della maternità responsabile? Perché
la pur grande presenza delle donne nella Chiesa non ha inciso nelle
sue strutture? E nella prassi pastorale perché attribuire alla
donna solo quei compiti che lo schema ideologico e culturale della società
attribuiva, e perché non esplicitare i suoi carismi "opera
dello Spirito Santo" ? I ruoli ecclesiali affidati alle donne corrispondono
ai carismi di una Chiesa condotta dallo Spirito oppure sono ancora frutto
di una mentalità maschilista?".
Ecco, noi crediamo che in queste domande essenziali sia raccolto l'aspetto
più profondo e talora drammatico del rapporto tra la donna e
la Chiesa.
La condizione della donna nella Chiesa
Molti conosceranno il nome di Adriana Zarri; l'enfant terrible delle
donne cristiane in Italia, teologa, saggista e contemplativi. Secondo
la Zarri non esiste uno speciale rapporto fra donne e pace, fondato,
come spesso si dice, sul fatto che la donna è "datrice di
vita". Anche l'uomo è datore di vita e far riferimento a
quel titolo della donna sembra ancora una volta un modo elegante per
chiuderla nel ruolo della funzione materna. Il legame tra la pace e
la donna non va dunque individuato sul piano biologico, ma altrove.
"Donne di tutto il mondo, cristiane e non credenti, a cui è
affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta
a voi salvare la pace nel mondo": così si conclude il messaggio
del Concilio Vaticano II alle donne. In questa visione la donna appare
ancora portatrice di pace perché, per determinazione biologica,
è portatrice di vita. Ma la donna è soggetto della cultura
della pace non tanto perché madre quanto perché la sua
particolare condizione l'ha portata a fare esperienza quotidiana di
alcuni grandi valori umani che sono allo stesso tempo un presupposto
e una conseguenza dello spirito di pace: la solidarietà, l'accoglienza,
la gratuità, il senso della festa, la pazienza, la tolleranza,
ecc. Oggi la donna cristiana dà l'impressione di aver acquistato
uno spirito di grintosa franchezza nei confronti delle autorità
ecclesiastiche e, simbolicamente, verso lo stesso Pontefice. Negli ultimi
anni, infatti, sono state soprattutto le donne a far presente coraggiosamente
al Papa, nel corso dei suoi viaggi, certe realtà. In un veloce
censimento fatto dal noto vaticanista di "Repubblica" Domenico
Del Rio, troviamo elencate alcune tra le più clamorose contestazioni
femminili: da quella di Suor Teresa Kane nell'ottobre del 1979 a Washington,
che poneva al Papa in termini espliciti il problema della donna nella
Chiesa, a quella della presidentessa dell'Azione Cattolica, Barbara
Engel, nel novembre 1980 a Monaco, in Germania, che denunciava le incomprensioni
della Chiesa verso le nuove generazioni. Ma le contestazioni più
energiche si sono avute nel corso del viaggio in Belgio e in Olanda.
A Utrecht, il 12 maggio 1985, la signora Edvige Wasser fa osservare
al Papa che il Vangelo non si annuncia ''con il dito minaccioso".
A Liegi, il 19 maggio 1985, la signora Anne Marie Gilson, Presidentessa
dell'Azione Cattolica rurale femminile, rimprovera al Papa il fasto
e la spettacolarità che accompagna i suoi viaggi. I giorni successivi
all'Università di Lovanio la studentessa Els Gryson invoca una
morale liberatrice che non si fondi soltanto su "comandi e proibizioni".
E un'altra studentessa, Weronica Oruba, di origine polacca, fa presente
al Papa di essere sorpresa di certe sue posizioni nei riguardi dell'America
Latina e della Teologia della liberazione.
La protesta delle donne contro la struttura patriarcale che caratterizza
ancora oggi la Chiesa, secondo cui il "maschio" è il
simbolo della "norma" , e tutto ciò che non lo è
viene considerato inferiore, si fa sentire soprattutto negli Stati Uniti
d'America, dove dal 1977 si è costituita la "Conferenza
per l'ordinazione delle donne" (Women's Ordination Conference),
per sostenere la causa del sacerdozio femminile. Ma ciò che più
sembra preoccupare il Vaticano e l'Episcopato americano, che ha incaricato
una commissione di vescovi Usa di preparare una lettera pastorale sul
tema della donna nella Chiesa e nella società americana, sono
proprio le rappresentanti ufficiali delle 120 mila suore statunitensi.
Sono proprio le suore, infatti, le più agguerrite sostenitrici
della necessità di cambiare le attuali strutture androcentriche
della Chiesa.
La Chiesa è chiamata a stringere con la donna
un nuovo patto di pace. Non sono poche le responsabilità della
Chiesa nei confronti della condizione sociale della donna. Si afferma
in un documento del 1975 a cura del Pontificio Concilio per i laici
("La Chiesa e l'anno internazionale della donna"): "la
donna è stata talmente abituata a pensare che non tocca a lei
pensare come impedire la guerra e creare la pace, che ora ci si trova
di fronte ad un primo immane compito: educare la donna che tocca anche
a lei pensare che la guerra può e deve essere eliminata, che
la pace non è, solo assenza di conflitto armato, ma è
anzitutto e soprattutto equa distribuzione dei beni economici, rispetto
delle minoranze, riconoscimento e tutela dei diritti di ogni uomo, volontà
di composizione pacifica degli inevitabili conflitti scaturienti dalle
limitazioni umane".
Forse queste considerazioni dovevano però
esser fatte non soltanto nel segno della denuncia ma anche nel segno
dell'autocritica La liberazione della donna nella società e nella
Chiesa è un presupposto indispensabile per la costruzione della
pace e di nuovi modelli culturali in cui l'uomo e la donna possono realizzare
la loro specifica identità personale, sessuale e psicosomatica
nella convivialità delle differenze.
COROLLARIO N° 2
Da Francesco d'Assisi, alle donne e agli uomini con
simpatia...
"È strano /.../ com'è possibile
che nonostante figure così stupende come Chiara, come Caterina,
come Teresa, nelle Chiese siete rimasti così antifemministi?"
"Avete paura della donna perché donna è tipo pericoloso
per la vostra virtù o la considerate, pur non dicendolo apertamente,
appartenente ad una razza inferiore ed indegna di toccare le cose sante?
Ma ci fate conto? Di tanto in tanto le negate perfino di salire l'altare
per leggere con garbo un testo della Scrittura all'assemblea. Un qualunque
uomo, purché sia uomo, le passa davanti.
Non vi pare esagerato?
O siete ancora schiavi delle culture antiche in cui la donna non contava
proprio nulla, sottomessa alla prepotenza maschile e destinata solo
a vivere dietro la tenda come le musulmane?
Sì, ora mi viene in mente: guardate Khomeini e cosa fa. Capirete
il pericolo dell'antifemminismo religioso e vedrete che il Vangelo è
altra cosa!
/.../ Si direbbe che siete privi di profezia e non avete verità
da pronunciare.
/.../ Il passato è passato e non torna.
Anche se sono stati necessari duemila anni perché il Vangelo
incominciasse ad entrare nelle dure cervici di uomini fattisi cristiani
ma rimasti alla circoncisione, qualcosa si fa strada.
II Concilio è stata una data unica nella trasformazione del mondo
moderno ed ha spazzato via tutto il di più che appesantiva la
Chiesa.
/.../ I razzismi inconfessati delle caste sono stati polverizzati dal
senso dell'eguaglianza annunciata e realizzata nella costruzione del
Regno.
Ed anche per la donna c'è del nuovo, leggete bene. Aprite gli
occhi ai segni dei tempi e vi accorgerete del pericolo di farvi superare
dalla realtà che da tempo bussa alle porte.
/.../ Come dovete tutto ripensare!
Trasformate la vostra casa in un ideale convento, come faceva Santa
Caterina, per farvi regnare la preghiera, il consiglio, la pace. II
vostro lavoro sia illuminato dalla potenza della vostra vocazione fatta
per amare, confortare, servire.
Non copiate gli uomini, ma siate creative, autentiche, cercando nella
vostra femminilità la radice che vi distingue e che è
inconfondibile perché voluta e creata da Dio stesso.
/.../ Non perdete tempo a cercare di avvicinarvi all'uomo per somigliargli
in qualche modo, ma cercate di allontanarvi il più possibile
da quel modello che non è il vostro ed è già in
sé abbastanza deturpato e svanito.
lo penso che se esiste un modello al mondo per voi donne questa è
Maria di Nazaret.
E impossibile che Gesù non abbia pensato a queste cose e non
abbia cercato di plasmare, nei trent'anni della sua esistenza terrena,
il modello della donna.
Maria gli era così vicina!
Ed era così attenta a Lui!
/.../ Si è ancora pensato troppo poco a questa eccezionale donna.
Non si è andato a fondo alla sua realtà di essere `donna
di questa terra', sorella nostra, alla sua libertà, alla sua
autonomia, al suo realizzarsi giorno dopo giorno nel quotidiano.
Dovreste essere voi donne a scavare nella preghiera un po' del mistero
di Maria.
Finora si è fatto troppo sentimentalismo od inutile trionfalismo!
Specie da parte degli uomini, soprattutto... se non sposati.
Un'ultima cosa.
Smettetela di farvi guidare solo da uomini, perché uomini, fatelo
semmai perché santi e non disdegnate di farvi aiutare da tipi
come Chiara, che anche se donna può dirvi cose utili e forti.
"
Da Carlo Carretto, lo, Francesco, Ed. Cittadella-Messaggero
/ Assisi-Padova, 1982, pp. 84 89.
COROLLARIO N° 3
LA GUERRA GIUSTA
Sono tornati concetti antichi nelle parole del Papa
ieri, riguardo alla tragedia della Bosnia. E' il vecchio concetto di
guerra giusta, di guerra di difesa, che entra oggi con qualche perplessità
nel pensiero della morale cattolica. Una volta; l'idea di guerra. "giusta"
di guerra "di difesa" era normalmente contemplata dai testi
di morale, accompagnata da tre condizioni: che ci fosse una difesa di
interessi legittimi, che non si trovassero altri mezzi per far valere
la propria giusta ragione, che la decisione venisse presa dalla legittima
autorità. In fondo, sono motivazioni che, in teoria, reggono
anche oggi. Ma esse si mescolano decisamente con posizioni di rifiuto
della guerra..
Nei mesi del conflitto del Golfo Persico, Wojtyla si era eretto profeta
di pace, uomo del non intervento, mostrava orrore di fronte allo stesso
concetto di guerra, disgustato soprattutto di un mondo occidentale che,
dimentico della pietà verso gli uomini, voleva soltanto celebrare
la propria onnipotenza guerresca e sublimava il conflitto in epopee
televisive e di mass media. Da Giovanni Paolo II era nata, allora, una
novità di linguaggio, un'invenzione di espressioni per esecrare
la guerra e per cercare di fermarla: "La guerra è un'avventura
senza ritorno"; "la guerra sarebbe il declino dell'umanità
intera"; mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza".
Ma la guerra in Bosnia, con le sue atrocità, con il martirio
continuato di città e di popolazioni, ha fatto rientrare ancora
nelle incertezze morali, teologiche e giuridiche tutti gli schemi e
tutte le definizioni. In una visione quotidiana di orrori in una terra
martoriata, Giovanni Paolo II ripiegava sul concetto di "ingerenza
umanitaria". Si affannava a far spiegare dal suo Segretario di
Stato, dai suoi cardinali, dai suoi nunzi apostolici, che tale ingerenza
diventava obbligatoria in situazioni che compromettevano gravemente
la sopravvivenza dei popoli o di interi gruppi etnici e, in questi casi,
si poteva accettare anche l'idea di un "braccio armato dell'azione
umanitaria".
E il Papa, di fronte anche all'inazione degli altri Paesi del mondo,
soprattutto europei ("la guerra in Bosnia, egli ha detto, è
l'umiliazione dell'Europa"), si è posto come creatore di
nuovi aspetti del diritto internazionale, qualcosa che era affiorato
già nell'enciclica Centesimus annus. Lo ha fatto in un discorso
al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nel gennaio 1992.
L'uomo vale più dello Stato, è il pensiero di Wojtyla...
Se in uno Stato l'uomo è minacciato e aggredito, decade ogni
principio di sovranità e di non ingerenza: gli altri Stati hanno
il dovere di disarmare l'aggressore. Non esiste, per gli Stati, un diritto
all'indifferenza.
Giovanni Paolo II si è rivolto ai giuristi perché riflettano
sulle nuove realtà, ed egli stesso ha offerto loro la formulazione
di nuovi principi internazionali. E' il Papa che, rivestito di autorità
morale, fonda il diritto.
Alla fine egli stesso riassumeva efficacemente così il proprio
pensiero sulla guerra: "Fedele alla mia missione, voglio ripetere
nella maniera più solenne e ferma:
- la guerra di aggressione è indegna dell'uomo;
- la distruzione morale e fisica dello straniero è un crimine;
- l'indifferenza pratica di fronte a tali comportamenti è un'omissione
colpevole;
chi si abbandona a queste infamie, chi le scusa o le giustifica ne risponderà
non solamente davanti alla comunità internazionale, ma più
ancora da vanti a Dio"..
E allora, forse è questa la considerazione
conclusiva che si può attribuire a Giovanni Paolo II: se c'è
necessità di fermare atrocità e ingiustizie, si ricorra
a mezzi di guerra, ma con la ritrovata consapevolezza che è sempre
cosa da piangere, non da esaltare.
COROLLARIO N° 4
Lo spirito della non violenza
L'azione non violenta è l'attuazione di un
pensiero e di un metodo. Come pensiero la non violenza parte dalla convinzione
che gli uomini non si affrontano irrimediabilmente come nemici, ma che
anche in una situazione di conflitto possono raccogliere la sfida che
consiste nel superarla mediante il dialogo e l'amore. Quando tale conflitto
deriva da una evidente situazione di ingiustizia, caratterizzata dal
predominio del potere degli uni sugli altri, compete ai deboli di intraprendere
un'azione che consiste in una pressione morale estremamente attiva ed
efficace, ma non violenta, adatta a dimostrare all'oppressore la sua
ingiustizia e a indurlo a correggerla.
In tal modo si liberano entrambi: il potente si libera dell'oppressione
che esercita; il debole dell'oppressione che subisce.
Anche se il pensiero non violento non è esclusivo dei cristiani,
tuttavia noi troviamo nella nostra fede, nelle parole e nelle azioni
di Nostro Signore Gesù, delle motivazioni profonde e degli esempi
ben chiari che ci spingono a vivere l'azione non violenta. In questo
caso, tale azione realizza un modo di vivere il Vangelo affrontando
le ingiustizie di questo mondo. È per questo che la non violenza
deve cominciare con la trasformazione radicale del modo personale di
vivere. Bisogna far violenza a se stessi; superare gli istinti egoistici
che ci dividono e ci separano dai nostri fratelli; vincere la tentazione
di essere accomodanti e passivi oppure la paura che si insinua nel nostro
cuore. Dobbiamo estirpare tutti i germi dell'odio, del rancore e della
vendetta che sono dentro di noi e che si rivelano nelle relazioni interpersonali
immediate
L'esempio più lampante dello spirito della non violenza si trova
nel dialogo. Sappiamo che è molto difficile dialogare, mentre
è facile affiancare due monologhi...
Seguire il cammino della non violenza, vuol dire separare nell'oppressore
la sua personalità dal male che egli commette: si tratta di amare
la persona e detestare il male. Ed è per questo che l'azione
non violenta non potrà mai ricorrere al potere, alla forza; non
offenderà mai l'oppressore con una ingiuria. Al contrario, il
non violento, a somiglianza di Gesù Cristo, si sforza di vivere
la spiritualità del servitore sofferente (Isaia, 53); egli evita
qualunque idea di dominio delle persone; elimina tutti i segni di discriminazione
o di superiorità; ricerca la serenità con un allenamento
assiduo a scopo di vincere la paura; vive nella verità, dice
la verità, difende la verità, ma sempre con amore
"La nonviolenza non va confusa con la non resistenza.
Nonviolenza significa dire "no" alla violenza. È un
rifiuto attivo del male, non un'accettazione passiva. La pigrizia, l'indifferenza,
la neutralità non trovano posto nella nonviolenza". (B.
Haring)
"La pace non sarà mai sicura e tranquilla
fino a quando i poveri, per fare un passo avanti in difesa del loro
pane e della loro dignità, saranno lasciati nella diabolica tentazione
di dover rigare di sangue la loro strada". (B. Haring)
CONCLUSIONE
SOLO ALLORA LA PACE
Se credi che un perdono
va più lontano di una vendetta.
Se sai cantare la felicità degli altri
e danzare la loro allegria.
Se puoi ancora ascoltare il disgraziato
che ti fa perdere tempo e donargli un sorriso.
Se sai accettare la critica e farne tesoro
senza respingerla e difenderti.
Se sai accogliere e adottare
un parere diverso dal tuo.
Se ti rifiuti di sbattere la tua colpa
sul petto degli altri.
Se per te un altro
è, innanzitutto, un fratello.
Se la collera per te è una debolezza,
non una prova di forza.
Se preferisci essere danneggiato
che far torto a qualcuno.
Se credi che l'amore
è la sola forza di discussione.
Se credi che la pace è possibile
Allora la pace verrà.
P. Guilbert